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Intervista a Gabriele Carboni - AI software Developer

16 Dicembre 2021

Tempo di lettura: 6 minuti

Nato a Sassari e tornato in Sardegna dopo 10 anni di studio e lavoro a Roma. Qualche anno di collaborazione con una realtà del territorio e poi la decisione di contattare un’azienda di Bergamo che non stava cercando uno sviluppatore full remote… come ci hai trovati ma soprattutto come ci hai convinti?!

Mi sono candidato per tutte le posizioni aperte, per essere sicuro che mi vedeste! Ho conosciuto Oròbix sui social, da un like di un contatto in comune. Sono andato sul sito e con piacere ho visto che oltre all’elenco dei clienti c’era anche un elenco di valori (n.d.r: il nostro Manifesto). Mi sono ritrovato in quei 10 punti, soprattutto nella volontà di avere un impatto concreto sulla società attraverso il proprio lavoro. Nei progetti raccontati ho trovato creatività, coraggio e un approccio al problem solving che condivido. 

Il primo colloquio è stato molto tecnico, mi avete messo alla prova e penso di avervi conquistati proprio così: dimostrando le mie competenze. Ho detto subito che cercavo una posizione full remote e che per me sarebbe stata la prima esperienza di lavoro con questa modalità. Lato vostro, avevate già gestito collaboratori full remote, dall’altra parte del mondo ma solo su progetti specifici. Ne abbiamo discusso e insieme abbiamo deciso di provare.

E perché proprio noi?

Mi sono occupato di Intelligenza Artificiale durante un tirocinio post-universitario. In particolare ho lavorato nell’ambito della robotica collaborativa e comportamentale. Un tema molto tecnico ma nel quale trova spazio anche una buona dose di scienze cognitive e filosofia. Lo sviluppo software mi appassiona e farlo per costruire soluzioni di AI  è davvero il massimo per me. La passione è una componente importante del mio lavoro, ancor più adesso che lo faccio da remoto, e credo che il mestiere dello sviluppatore software sia uno dei lavori ancora fortemente spinto dalla passione. In Oròbix posso mettermi in gioco su progetti molto sfidanti e soprattutto mi piace l’idea di partecipare alla costruzione di applicazioni che possano avere un impatto concreto nelle aziende. In questi mesi ho lavorato allo sviluppo di Detectiv.ai la nostra soluzione per l’anomaly detection sui dati di produzione. In Oròbix ho trovato la concretezza di chi scende in campo per incidere realmente sulle attività di business e più in generale nella vita delle persone. Finora avevo visto l’Intelligenza Artificiale applicata solo alla ricerca scientifica oppure usata per fare cose “simpatiche”, mentre adesso so che posso contribuire alla creazione di applicazioni davvero utili e concrete.

Cominciamo dalle questioni pratiche. Tu lavori dalla spiaggia, con un cocktail vicino al mouse. Come ti trovi? La sabbia soprattutto… non crea problemi?

Non lavoro così! Mi fanno molto arrabbiare i post sui social che parlano in questi termini del lavoro in full remote! Magari qualcuno lavora davvero così, ma non credo sia un buon punto di riferimento. Lo spazio di lavoro per me è fondamentale, soprattutto per trovare la giusta concentrazione. Ho una stanza apposita, una scrivania dove ho tutto quello che mi serve, mi vesto normalmente, faccio gli stessi orari dei miei colleghi (certo, d’estate finito di lavorare, vado con mia moglie in spiaggia a vedere il tramonto… e questo è un valore aggiunto). Tecnicamente è ormai possibile fare il programmatore da qualunque luogo e in qualunque situazione, su molti settori di business, ma non è solo la tecnologia che ti permette di essere un buon lavoratore da remoto.

Al di là delle definizioni tecniche, cos’è per te il remote working?

Da sardo, che per spostarsi deve attraversare il mare, dico che il remote working è una sorta di ponte. Una grande opportunità che mi permette di lavorare con aziende lontane, che non hanno sedi sulla mia isola (n.d.r.: mai dire mai 😎).  Mi dà la possibilità di dimostrare le mie capacità mettendomi alla prova su progetti complessi e innovativi che non tutte le aziende hanno la fortuna di poter gestire. Ma è anche una responsabilità. Far parte di un’azienda è sempre una responsabilità, ma farlo da lontano lo è ancor di più. Da remoto devi tirare fuori le famose soft skills, soprattutto quelle legate alla sfera della comunicazione.

Uno sviluppatore che parla di “comunicazione” è abbastanza anomalo… spiegaci meglio!

Per lavorare da remoto bisogna imparare a farsi capire perchè la mediazione del video rende tutto più complicato. E non parlo solo di spiegare il proprio lavoro dal punto di vista tecnico e di documentare il codice in modo che sia accessibile e comprensibile a tutti. Da remoto puoi nasconderti molto bene se vuoi. Il rapporto con i colleghi può durare solo il tempo di una call di allineamento. Ma se non vuoi questo, se vuoi creare dei rapporti che vadano al di là delle necessità lavorative, devi davvero metterti in gioco. Sembra strano da dire, ma il remote working mi ha reso più “umano”, mi ha imposto di raccontarmi di più, al di là del codice che scrivo e di ascoltare con più attenzione chi condivide il video con me. Non basta chiedere “come stai” all’inizio della call per creare empatia. Non dobbiamo pensare che sia l’utilizzo di una tecnologia a far emergere le nostre soft skills. Anzi, probabilmente amplifica i nostri punti deboli e li rende visibili a tutti: ci annoiamo ascoltando qualcuno e, pensando di non essere visti, iniziamo a fare altre cose… “dal vivo” non lo faremmo mai! La pandemia ci ha imposto di accelerare il processo verso nuove modalità di lavoro, ma penso che ora sia necessario cominciare a farsi qualche domanda.

"Quanto siamo davvero capaci di ascoltare le altre persone e quanto siamo disposti a condividere di noi stessi per creare rapporti umani anche a distanza?"

È il percorso che sto facendo in questi mesi. Sto imparando a parlare dei miei problemi e dei miei bisogni con i modi e i tempi opportuni. Alibi, strategie e scappatoie da remoto non reggono. Tutto si basa sulla fiducia reciproca e sulla trasparenza anche in merito ai propri limiti. Se vengono a mancare questi due elementi, fiducia e trasparenza, credo sia impossibile gestire un rapporto da remoto.

Come si costruisce la fiducia a distanza?

Si conquista lavorando in maniera trasparente chiedendo aiuto e condividendo gli obiettivi. Va fatto da entrambe le parti, lato azienda e lato dipendente. È un percorso. Come dicevo prima, la comunicazione riveste un ruolo centrale. Per un team – che sia in presenza o a distanza – rispondere allo stesso “perché” significa avere la stessa visione che non è solo quella del fatturato a fine anno (e dello stipendio a fine mese) ma la reale possibilità di mettere in campo soluzioni e farle funzionare per risolvere problemi e ottenere un cambiamento

A proposito di team, non ti manca la componente “sociale” del lavoro?

Penso che non siano i luoghi a creare i collegamenti tra le persone, ma che sia l’empatia –  che ci rende capaci di costruire buone relazioni anche al di là di uno schermo –  e il camminare verso lo stesso obiettivo a fare la differenza. Detto questo, sicuramente mi manca far parte di un gruppo che si vede anche al di fuori dell’ufficio, mi mancano le pacche sulle spalle, le conversazioni faccia a faccia nei momenti di difficoltà e in quelli di gioia. Online si può fare tutto, ma non tutto è efficace allo stesso modo e sicuramente la componente sociale è quella che più risente della mediazione del video. Però diciamocelo… lavorando da remoto hai anche il vantaggio di stare solo il tempo necessario, con chi non ti è particolarmente simpatico! (n.d.r.: 🤔)

La tua sembra una scelta molto consapevole, non dettata dal momento. Come l’hai maturata e che consiglio daresti a chi ci sta pensando?

Ho lavorato molto con team distribuiti, gruppi di persone che lavorano sullo stesso progetto, appartenenti ad aziende diverse, fisicamente localizzati in giro per l’Italia. Ho imparato una metodologia di lavoro basata sul metodo scrum/agile e sull’utilizzo di alcuni tool che permettono la schedulazione delle attività e il tracking dei progressi nel tempo. Organizzo il mio tempo e le mie attività per essere sempre consapevole del punto a cui mi trovo, di quanto è distante l’obiettivo, di cosa devo fare per raggiungerlo.

Prima abbiamo parlato di imparare a comunicare, penso sia questo il mio consiglio a chi sta valutando di fare il passo verso il remote working. 

"Non date per scontato che l’unica cosa importante sia il codice che scrivete, trovate il tempo per farvi conoscere dagli altri e per conoscere chi avete di fronte."

E a Oròbix che consiglio daresti?

Di continuare a dare fiducia ai dipendenti, siano essi in remoto o in ufficio e di richiede da loro trasparenza. È l’unico modo secondo me per responsabilizzare davvero le persone e costruire qualcosa di duraturo. Di continuare a comunicare i propri valori e i propri obiettivi, al di là dei risultati e dei guadagni. Di vedere il remote working come occasione di crescita reciproca.

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